Pierangelo Soldavini • Giornalista di Nòva24 - Il Sole 24 Ore
“Anche quest’anno l’appuntamento del vertice Onu sul clima ha rappresentato un momento in cui fare il punto della situazione e rivedere gli obiettivi per contrastare il cambiamento climatico a livello globale.”
La Cop 27 di Sharm el Sheik è stato un successo o un fallimento? Difficile dire. Per stare ai risultati più eclatanti si è finalmente raggiunto un accordo per la costituzione di un fondo internazionale di compensazione per i danni subiti dai Paesi che più soffrono in questi anni le conseguenze del climate change: senz’altro una buona notizia, anche se non c’è nessun obiettivo di stanziamento e di tempi. Per il resto ben poche decisioni strategiche!
Nessun risultato concreto per quanto riguarda lo sforzo di mitigazione del fenomeno che sta cambiando gli ecosistemi in tutto il mondo: nessun impegno per la riduzione dei combustibili fossili e nessun accordo per contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Certo, ha ragione Paolo Giordano che nel suo ultimo libro constata con amarezza che “L’ambiente è un argomento noioso, lento, privo di azione e di tragedia, se non di quelle eventuali”. Proprio sul tema delle tragedie “eventuali” bisogna intendersi. Non c’è dubbio che si tratti di un problema estremamente complesso, lento, ma capillare. Ma è altrettanto chiaro che gli episodi “eventuali” stanno diventando sempre più “normali”.
Se i Paesi più colpiti dal climate change sono tendenzialmente anche i più poveri, che hanno quindi tutti i diritti di ricevere aiuto a titolo di risarcimento per essere in prima linea sul fronte dell’emergenza, nessun Paese può considerarsi immune. Lo dimostrano gli eventi che hanno colpito anche l’Italia negli ultimi mesi: dal crollo dei ghiacciai alla siccità estiva che ha pochi precedenti, dalla desertificazione di intere aree del Paese a eventi estremi come la frana che ha colpito Ischia con il suo carico drammatico di morte. Anche noi non possiamo considerarci al riparo dagli effetti del cambiamento climatico. La lentezza e la noiosità di un fenomeno che appare irreversibile si contrappone all'evidenza sempre più concreta di una capillarità di effetti che richiede interventi urgenti per invertire la tendenza.
È un problema di prospettiva che diventa sempre più attuale. Ma continuiamo a far finta che non sia così. Di fronte alla complessità privilegiamo la linearità delle abitudini dei comportamenti. È così che di fronte alle difficoltà dei rifornimenti energetici che hanno colpito l’Europa all’indomani della guerra in Ucraina non sempre abbiamo puntato a guardare avanti: di fronte all’esigenza di tamponare le esigenze dell’oggi (e dell’inverno in arrivo) abbiamo preferito rinunciare come Paese alla profondità della visione in prospettiva. Non possiamo nasconderci che il problema fosse tamponare il contingente. Del tutto comprensibile: come singoli e come comunità eravamo e siamo preoccupati di risolvere i problemi gravissimi del caro bollette che mette a rischio le persone ma anche l’intera economia.
È innegabile quindi che la priorità debba essere quella di proteggere le fragilità ed evitare contraccolpi più gravi nell’immediato.
Ma allo stesso tempo bisogna saper guardare al futuro: così come cerchiamo di preservare le condizioni di sviluppo per l’economia, non possiamo permetterci di perdere di vista il quadro d’insieme che richiede un mutamento radicale dei comportamenti, come cittadini, come aziende e come pubblici amministratori.
Comprensibile quindi che nell’immediato si decida di invertire la politica di chiusura delle centrali a carbone, perché si tratta della fonte più immediata a disposizione dell’Italia. Ma solo in una logica di breve periodo. Perché allo stesso tempo non si può distogliere la visione dal futuro con l’accelerazione della spinta verso le fonti rinnovabili, le uniche che possono garantire l’autonomia energetica dall’esterno. Se avessimo saputo farlo prima, la crisi avrebbe forse avuto effetti più limitati.
Questo per quanto riguarda le grandi scelte. Ma anche nella normalità quotidiana, quanti hanno messo in discussione i comportamenti individuali per ridurre i consumi energetici? È vero, l’impennata delle bollette ha rappresentato un incentivo diretto a modificare le abitudini, ad abbassare il riscaldamento, a spegnere il gas, a tagliare qualche doccia e spegnere l’aria condizionata nonostante il grande caldo. Ma l’attenzione all’efficienza energetica e alla scelta delle fonti deve necessariamente diventare una priorità per tutti. Indipendentemente dall’emergenza.
Solo se ognuno fa la sua parte prendendosi le proprie responsabilità, sia come singoli, che come collettività e come soggetti economici, potremo affrontare il futuro nel pieno rispetto delle persone, dei territori, dell’ecosistema: pensiamo alla Terra nel suo insieme, ma tutto parte dalle singole persone e dal loro benessere. È davvero un concetto circolare che non prevede discontinuità, ogni processo ha conseguenze su quelli successivi. Si parte dalle persone, dalle piante, dall’energia perché dobbiamo avere a cuore il futuro del pianeta Terra. Che sempre più è nelle mani di ciascuno di noi.