Sergio Ferraris • Giornalista scientifico e ambientale
“Limitare le emissioni di CO2 attraverso la decarbonizzazione non solo è necessario, ma oggi è anche conveniente a livello economico.”
Oggi la parola d’ordine per le imprese, ma non solo, è decarbonizzazione. Ossia produrre emettendo meno emissioni possibili che alterano il clima, a parità di quantità e qualità di prodotti, tendendo ad azzerare la quantità emessa di gas a effetto serra. Si tratta di un concetto apparentemente semplice con una configurazione complessa perché le filiere industriali hanno raggiunto una composizione variegata che implica molteplici fattori. La globalizzazione delle materie prime, in particolare, rende sconosciuto o molto complesso da comprendere, il bilancio emissivo delle stesse anche da parte delle imprese interessate.
Nella catena agroalimentare è molto complicato per l’operatore che compie una trasformazione avere dati su tutto ciò che avviene a valle e a monte dei propri processi. E quando sono molti gli attori di una filiera, magari sparsi in paesi diversi con politiche climatiche differenti, lo scenario si complica ancora di più oltre a doversi ricordare che nel processo di decarbonizzazione si conta tutto ciò che è climalterante e non solo la CO2 ma anche il metano e altri combustibili.
E per le imprese lo è ancora di più risolvere l’equazione della decarbonizzazione. Oltre alla conoscenza e gestione delle emissioni lungo tutta la filiera, l’altro grande problema è quello dell’economicità di questi processi. Raggiungere emissioni zero nei processi di produzione potrebbe essere possibile già ora, ma richiederebbe l'impiego di tecnologie costose che aumenterebbero i prezzi per i consumatori. Sotto questo punto di vista si deve tenere conto delle dinamiche legate ai mercati energetici. Usare il fotovoltaico per produrre energia a emissioni molto basse, specialmente da parte delle imprese, sarebbe stato impensabile quindici anni fa.
Ai giorni nostri il prezzo dei pannelli fotovoltaici si è abbassato dell’89% mentre la loro durata è aumentata del 25%. In Italia l’elettricità prodotta dal Sole ha un costo pari a quello delle fonti fossili, ma ha due vantaggi che per le imprese sono molto preziosi. Il primo, è la stabilità del prezzo del kWh e il secondo è la sicurezza nella fornitura. Tradotto: chi si affida alle fonti rinnovabili non risente delle crisi geopolitiche né sul fronte dei costi né su quello della fornitura. Nel peggiore dei casi, emette un decimo delle emissioni rispetto a chi usa le fossili, ma è una fase transitoria. La stabilità energetica è un vantaggio anche per i cittadini che subiranno così sempre meno l’inflazione energetica.
Per finire c’è il capitolo legato all’economia circolare. Il riuso e il riciclo diminuiscono in maniera evidente i consumi energetici e quindi le emissioni da fonti fossili. Esemplare è sotto questo profilo l’alluminio. L’utilizzo d’alluminio “usato” rispetto alla materia prima vergine consente un risparmio del 90% d’energia, oltre a considerare che questo metallo è riciclabile all’infinito senza alcuna perdita qualitativa. Si stima che oltre il 70% dell’alluminio in circolo, anzi in ricircolo, sul Pianeta sia di “seconda mano”. La lattina per le bevande che teniamo in mano in passato poteva essere un aereo da caccia e potrebbe diventare un componente del prossimo lander su Marte. O, molto più semplicemente, tornare nelle vostre case sotto forma di moka per il caffè. E il clima ringrazia.