Sergio Ferraris • Giornalista scientifico e ambientale
“Le comunità energetiche sono uno strumento utile per diffondere le rinnovabili, abbattere le bollette e lottare contro la povertà energetica.”
Comunità: un concetto che ha avuto alterne fortune. In passato è stato associato al progresso, ma più di recente è stato, nei fatti, messo in secondo piano rispetto al piano dell’'individuo. Ma di fronte a sfide come quelle legate al clima l'aspetto di comunità ritorna prepotentemente alla ribalta. Il motivo è semplice. Problemi collettivi non possono che avere soluzioni comuni.
In questo quadro il fenomeno delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) vi si inserisce appieno. Le CER, infatti, sono già molto sviluppate in Europa da decenni. Nel Vecchio Continente, infatti, sono oltre due milioni i cittadini che formano circa 7.000 CER, con l'Unione Europea che le considera essenziali per il raggiungimento degli obiettivi climatici europei al 2030.
Per l'Unione europea, infatti, le direttive sui prosumer (produttori/consumatori d'energia) e sulle comunità energetiche rappresentano un vero e proprio punto di svolta, in quanto in precedenza l'attenzione di Bruxelles era rivolta solo ed esclusivamente verso i cittadini consumatori d'energia.
I nuovi dispositivi europei riconoscono:
Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che Bruxelles assieme alle direttive su CER e prosumer ha varato anche il nuovo regolamento per il mercato elettrico nel quale si prevedono una serie di strumenti, come gli aggregatori tra piccoli produttori da fonti rinnovabili, pensati esattamente per favorire questi soggetti.
Un nuovo contesto nel quale molti stati membri dell'Unione Europea hanno trovato il naturale proseguimento delle attività in materia di comunità energetiche degli ultimi decenni, ma che per alcuni, come l'Italia, rappresenta una novità assoluta.
Nel nostro Paese, infatti, le comunità energetiche erano precedentemente vietate e le poche attive erano il "residuo" della nazionalizzazione della produzione elettrica del 1962. Anche dopo la privatizzazione di Enel nel 1999 il divieto rimase e a nulla servirono le poche esperienze positive di comunità energetiche che erano rimaste attive dopo il 1963, come quella di Campo Tures in provincia di Bolzano dove grazie all'idroelettrico "storico" al quale si sono aggiunti fotovoltaico, eolico e biogas, i cittadini hanno bollette dell'elettricità inferiori di quasi il 50% rispetto alla media nazionale. Senza contare il fatto che Campo Tures, nella notte del 28 settembre 2003, quella del più grave blackout elettrico italiano dal dopoguerra, era uno dei pochi comuni italiani a essere illuminato.
Le comunità energetiche oltre a tutto ciò sono di sicuro utili anche al sociale, oltre che al clima. Lo scambio d’energia in questa modalità porta a una diminuzione del costo generale dell’energia, anche al netto della crisi energetica, in quanto l’energia scambiata tra i produttori e i consumatori non è gravata dagli oneri di sistema che caratterizzano quella prelevata dalla rete, ha un prezzo fisso per venti anni e può essere scambiata con grandi benefici, visto che si possono attivare nella stessa comunità soggetti diversi. Un’impresa, per esempio, può organizzare una comunità energetica con abitazioni poste nella stessa zona, scambiando energia con profitto reciproco. Durante il giorno, per esempio, le abitazioni possono inviare elettricità all’impresa che ne ha bisogno per i cicli produttivi, mentre i sistemi d’accumulo, magari posizionati nei locali tecnici dell’azienda, la sera possono cedere energia alle abitazioni i cui abitanti sono tornati a casa. Il sabato e la domenica il fotovoltaico posto sui capannoni può invece rifornire le abitazioni, visto che la manifattura sottostante magari è ferma. Questi sono solo alcuni degli esempi che è possibile realizzare grazie alla messa in comune di esigenze e produzioni energetiche diverse di diversi soggetti.
E in un futuro ormai prossimo le prospettive di comunità si apriranno anche al mondo della mobilità. Sarà possibile, la sperimentazione è in atto in Danimarca, ricaricare e cedere energia usando la propria autovettura elettrica attraverso la modalità V2H (Vehicle-to-home, ossia dal veicolo all’abitazione) utilizzando l’energia prodotta dalla comunità per la carica dell’auto e viceversa quella accumulata nell’auto per offrire servizi di rete alla comunità stessa o alla rete elettrica, traendone vantaggi anche economici. Tenendo conto del fatto che le auto in media sono ferme per ben 23 ore al giorno, si può ben capire quali siano le potenzialità di sistemi così strutturati e che comprendano anche le autovetture elettriche.
La questione dell’intermittenza delle fonti impone la necessità dei sistemi d’accumulo e anche della programmazione dei consumi a tutti i livelli, per ottimizzare al massimo la percentuale d’energia auto-consumata all’interno della CER che è quella che il legislatore ha voluto premiare a livello economico, impone l’utilizzo di tecnologie informatiche di gestione dell’energia che gestiranno sia la produzione, sia i consumi in tempo reale attraverso una serie d’automatismi, anche perché è impensabile che tutto il sistema sia gestito h24 da esseri umani.
E ciò sarà possibile grazie alla gestione dei consumi introdotta dall’ IoT (Internet of Things). In una comunità energetica nella quale abbiamo un’impresa che ha una grande capacità produttiva e d’accumulo e dieci abitazioni che necessitano d’energia per gli elettrodomestici è chiaro che le lavatrici e le lavastoviglie andranno avviate in tempi differenti per ottimizzare il più possibile l’autoconsumo interno – che è quello incentivato – al fine di massimizzare il risultato economico e non ricorrere a prelievi dalla rete che sono di sicuro più costosi. Anche in tempi normali. In pratica si lascerà al sistema la decisione di quando avviare un elettrodomestico o di ricaricare l’auto elettrica, affinché il cento per cento dell’energia prodotta dalla CER sia autoconsumata all’interno. E alcune sperimentazioni, facilitate dall’introduzione, ormai massiccia, nelle produzioni delle logiche di Industria 4.0, sono in corso per applicare la stessa metodologia ai processi produttivi. Questione che prevede la generazione e lo scambio di dati tra diversi soggetti, cosa non sempre semplice vista la grande varietà di protocolli di rete esistenti. Ma una mano arriverà dall’utilizzo della blockchain nella quale è possibile fissare in maniera indelebile e permanente tutte le transizioni energetiche interne alla comunità energetica cosa che consente un aumento della affidabilità generale del sistema e un conseguente rafforzamento della fiducia tra i membri della comunità, questione essenziale per il suo buon funzionamento.
Autonomia energetica e riduzione dei costi della bolletta, infine, sono due elementi peculiari delle CER che consentiranno di avere uno strumento in più nella lotta alla povertà energetica, fenomeno in aumento negli ultimi anni in Italia. Oggi sono circa quattro milioni le famiglie che si trovano in condizione di povertà energetica, contro i 2,2 milioni del 2019. Si tratta di nove milioni di persone che non riescono a coprire in tutto o in parte le esigenze energetiche essenziali e che se inserite in una comunità energetica potrebbero spezzare l’inaccessibilità costante di questi soggetti, alle spese essenziali e al risparmio, cosa che ne blocca di fatto l’accesso a qualsiasi tipo d’ascensore sociale. In questo quadro la creazione di comunità miste tra imprese, pubblica amministrazione e cittadini fragili dal punto di vista energetico potrebbe portare, in un prossimo futuro, alla creazione di una sorta di welfare energetico di comunità, che sarebbe in grado di lottare in maniera strutturale contro la povertà e di rafforzare la coesione sociale grazie all’approccio di comunità.