Fabio Amadei • Docente di cultura gastronomica presso Alma - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana
“Se Natura e Cultura si fondono per il benessere dell'uomo e del Pianeta, riscoprire la freschezza del cibo diventa un atto di responsabilità.”
Le virtù del fresco: una scelta consapevole. Se Natura e Cultura si fondono per il benessere dell'uomo e del Pianeta, riscoprire la freschezza del cibo diventa un atto di responsabilità. Il cibo è, a tutti gli effetti, uno dei linguaggi culturali propri di ogni società. Profondo strumento di conoscenza di sé e degli altri. Diversi autori hanno sottolineato come l’organo del gusto sia il cervello, non tanto la lingua. Siamo istruiti, fin da piccoli, a sgranare gli occhi di fronte a ciò che è buono e ad arricciare il naso per esprimere, invece, una disapprovazione. C’è anche una buona parte di istinto in questo meccanismo di gusto e disgusto. Innegabile che il dolce ci attragga, almeno in tenera età, più dell’amaro. Si aggiunge, strada facendo, il ricordo: una memoria sensoriale che ci guida nel ripercorrere sentieri gastronomici già esplorati. Oppure, consapevolmente, deviare verso scelte alternative dettate da nuove esigenze, nuovi bisogni, qualche compromesso. La scelta del proprio cibo, quando libera e non determinata da limiti e vincoli ben più grandi, è a tutti gli effetti un processo culturale. Siamo noi a trasformare un prodotto in ingrediente, attivando creatività e talento nella realizzazione di un piatto. Possiamo quindi sostenere che ogni giorno mangiamo il risultato della curiosità e della sperimentazione che ha guidato l’uomo nel prendere le distanze, anche fisicamente, da un mondo naturale a volte fin troppo selvatico. Per oltre sette milioni di anni siamo stati infatti cacciatori e raccoglitori: portati a seguire, senza alternativa, i ritmi della natura e i limiti di un’alimentazione necessariamente stagionale. Il foraging, termine molto cool per indicare la raccolta di erbe spontanee, era una strada obbligata tramite cui poter ricercare qualche fonte di nutrimento. In alcuni casi, però, poteva trasformarsi in un vicolo cieco: anche il raccoglitore necessita di istinto e memoria, quindi cultura, per evitare di scoprire sulla propria pelle gli effetti di pericolosi veleni. Tra i sogni dei nostri antenati che conoscevano solo il fresco e l’appena raccolto, andiamo indietro di diversi millenni, c’era il desiderio di riuscire a fermare il tempo: decidere quando e cosa poter mangiare. La trasformazione del fresco in conservato è il risultato di processi culturali profondamente radicati nello sviluppo delle società. La produzione di carni salate, ad esempio, vanta radici nell’antichità romana e si ramifica, in forme, prodotti, idee gastronomiche diverse, soprattutto nel corso del Medioevo. Fresco o conservato quindi? Questo è il dilemma. Interessante vedere come sia cambiato il modo di percepire i due termini in relazione ai grandi cambiamenti della cucina (e della storia).
“Utilizzerai prodotti freschi e di qualità”. Con queste parole iniziava, negli anni Settanta, il Manifesto della Nouvelle Cuisine: un movimento rivoluzionario della ristorazione internazionale partito dalla Francia. L’idea era quella di abbandonare le lunghe cotture, alleggerire i menu rispetto a quanto fatto in passato, incominciare a dare spazio, anche al ristorante, ai temi della dietetica. Bisogni gastronomici e di gusto che si rispecchiano in una società profondamente trasformata. Sono questi gli anni in cui i prodotti di conserva, risultato delle moderne tecniche messe a punto dall’industria alimentare, si fanno sempre più accessibili. Trovano posto nelle case, nella vita quotidiana, nell’alimentazione di tutti i giorni. Gli anni Settanta segnano un profondo cambiamento nelle abitudini alimentari anche del nostro Paese. Il Boom Economico ha trasformato la fisionomia sociale, culturale e quindi anche alimentare della Penisola: gli italiani passano, ad esempio, da un consumo di carne bovina pro capite annuo di 25kg nel 1958 ad oltre 54 kg per persona nel 1970. Più del doppio in soli dodici anni. Tutto questo è un riflesso dell’urbanizzazione, di una maggiore ricchezza delle famiglie e di acquisti alimentari sempre più cittadini e sempre meno rurali. Evidenza di come le nostre scelte alimentari siano conseguenza e causa di cambiamenti sociali, di nuovi stili di vita e di nuove necessità.
Torniamo però al punto di partenza: scegliere il proprio cibo è un gesto culturale. Oggi che Natura è Cultura, che siamo sempre più coinvolti nel cercare soluzioni per il benessere dell’uomo e del Pianeta, è utile riscoprire la piacevole spontaneità della freschezza. Significa rivalutare il concetto di stagionalità, studiare i ritmi della natura in parte resi sconosciuti dal tempo della tecnica, scegliere i prodotti nel loro massimo valore nutrizionale. Fresco, oggi quando si può, vuol dire buono e bello: migliore consistenza, massima espressione aromatica, piena colorazione, corretta stagionalità. Vuol dire riallacciare un dialogo con quegli spazi di produzione del cibo, anche all’interno dei nostri contesti urbani, in cui poter riflettere che, tra le altre cose, l’uomo è anche ciò che coltiva.